René Magritte, Gli amanti, 1928. (Artepics/Alamy)

Franco Lorenzoni, insegnante

Di fronte alle centinaia di ragazze e ragazzi che sono scesi in piazza lunedì 11 gennaio in numerose città e che venerdì 15 hanno occupato diverse scuole a Milano per rivendicarne l’apertura, la domanda che dovremmo farci è: come abbiamo potuto tollerare tutto ciò? Come continuiamo a tollerare che il funzionamento delle scuole non riesca a imporsi come urgenza imprescindibile in Italia?

Anni fa un romanzo acuto e urticante di Simona Vinci si intitolava Dei bambini non sappiamo niente. A quasi un anno dall’inizio della pandemia e dopo stagioni trascorse nella costrizione domestica per proteggerci dal virus, dobbiamo ammettere che degli adolescenti, di cosa si agita e stia accadendo a una generazione privata dei più elementari e quotidiani spazi di socialità sappiamo poco.

Per mostrare ai compagni e alla professoressa cosa provava, un ragazzo quindicenne ha scelto il quadro Gli amanti di Magritte. “Mi sono sentito come uno di questi due personaggi. Nel mio caso però la barriera che c’era tra me e le altre persone non era la stoffa che copre i volti dei due amanti, ma la distanza che siamo costretti a mantenere tra me e i miei amici, i miei parenti e tutte le persone che prima ero solito vedere e frequentare”. Ha poi aggiunto, tuttavia, “questa barriera fisica non ha rappresentato un reale ostacolo, perché un sentimento vero, forte e potente di amore, amicizia o di affetto è in grado di superare qualsiasi tipo di distanza o impedimento”. La frase conclusiva tempera l’inquietudine dell’immagine e mostra la sua fiducia nella capacità dei “sentimenti veri” di contrastare gli attuali “impedimenti”.

Mancanze
Ciò che colpisce nella scelta del dipinto, tuttavia, è la copertura totale dei volti degli amanti nel momento in cui si baciano. Franco Berardi detto Bifo, attento osservatore di ciò che si agita nel mondo giovanile, in una recente conversazione con Marino Sinibaldi su Rai Radio 3 ha detto a proposito del tema della cura:

“Un ventenne che si trova nella condizione di non poter entrare in un caffè e rispondere positivamente allo sguardo seduttivo di un altro o un’altra ventenne che lo invita a baciarlo o baciarla, si trova in una condizione psichica che produrrà mutamenti nella sua sensibilità (…) L’erotismo non è un fenomeno naturale, è qualcosa che evolve”. E si è poi domandato: “Come evolverà l’erotismo una volta che entriamo in una condizione di sensibilizzazione fobica, che sta nell’essere attratti e al tempo stesso respinti dalle labbra di un nostro simile?”

È a questo che alludeva, forse inconsapevolmente, il ragazzo che ha scelto il quadro di Magritte? Molte e molti adolescenti lamentano la mancanza di prime volte fondamentali nella loro crescita come la prima uscita da soli con gli amici o con chi si ama, gli spazi da frequentare lontano da occhi adulti, il tempo trascorso fuori casa con i suoi imprevisti e le sue sorprese.

È il corpo come esperienza, comunicazione diretta e fonte di desiderio che è negato e offeso negli anni in cui esplodono le attrazioni reciproche. Come può tutto questo non alterare anche la relazione con la conoscenza e le scoperte culturali che si fanno dentro e fuori la scuola?

Disuguaglianze
Già in primavera si era visto quanto il confinamento nel virtuale stesse generando nuove discriminazioni perché gli schermi separano e al tempo stesso amplificano possibilità e privazioni. Ragazze e ragazzi curiosi, colti, con esperienze ricche alle spalle navigano in rete con tante domande sapendo cosa cercare, e probabilmente molti di loro si stanno costruendo da soli, in questi mesi, conoscenze e competenze che gli saranno utili nel lavoro e nel futuro.

Molte loro compagne e compagni, isolati ed emarginati per i più diversi motivi, non solo economici, si trovano invece intrappolati dentro a una vita a cui sono sottratte tanto le esperienze significative quanto le vie di fuga. A tutte e tutti, comunque, manca il corpo a corpo con l’altro, con gli altri, e anche con i linguaggi e gli oggetti culturali che bene o male la scuola presenta alla loro attenzione e offre come possibilità di crescita, di studio, di scoperta di sé.

Sono molti gli istituti tecnici, e ancor di più quelli professionali, a registrare un calo delle presenze che anticipa percentuali di dispersione scolastica già elevate. E allora appare davvero intollerabile la chiusura prolungata delle scuole superiori, ed è ancor più intollerabile che a deciderle siano i governatori delle regioni, con le loro idiosincrasie e arbitrarie interpretazioni sui gradi di pericolosità del contagio.

Certo, nell’immediato la chiusura delle scuole non provoca disoccupazione né calo del prodotto interno lordo, ma l’attento e documentato studio Nello specchio della scuola di Patrizio Bianchi argomenta esattamente il contrario. In Italia è proprio la scarsa qualità della formazione, e la sua grande disomogeneità territoriale, la causa prima di una stagnazione che dura da decenni e che colpisce in modo particolare il sud e le aree interne.

Un’occasione persa
Bianchi è stato il coordinatore del gruppo di 18 esperti che in tre mesi di lavoro ha promosso cento audizioni con persone e gruppi attivi nel campo dell’istruzione, ricercando e organizzando dati, riordinando materiali e studiando soluzioni. Avanzando infine proposte più o meno condivisibili, ma comunque argomentate con serietà.

Il documento intitolato “Idee e proposte per una scuola che guarda al futuro” è stato consegnato il 13 luglio 2020 alla ministra Lucia Azzolina, che aveva istituito quel gruppo, e cos’è successo? Quasi nulla.

Quei suggerimenti sono stati messi in un cassetto, ritenuti validi solo per un “uso interno” e si è persa così un’occasione di discussione pubblica aperta e partecipata sulle sorti della scuola, assolutamente necessaria oggi, in cui la scelta delle priorità riguardo alla destinazione dei fondi europei non può essere sequestrata da nessuno, perché riguarda le sorti del paese e la sua tenuta sociale.

Ora, se esaminiamo i capitoli proposti dall’Unione europea riguardo al Next generation EU, è evidente che la spinta verso la tecnologia digitale e l’innovazione, e soprattutto l’urgente e necessaria transizione ecologica a cui sono destinate le maggiori risorse, necessita di ricerca, istruzione e formazione diffusa, dunque di più scuola. E soprattutto di una scuola capace di ripensare se stessa e la sua funzione, non da sola.

Gli adolescenti, ora costretti a rimanere in casa per insipienza di chi non ha saputo e voluto intervenire sui trasporti – mentre in estate un gran numero di docenti attrezzava le classi per poter garantire distanze di sicurezza – sono gli stessi che nel settembre 2019 riempivano le piazze gridando con Greta Thunberg che “capire è cambiare”, consapevoli che il pianeta ha bisogno di cura e lo sviluppo deve mutare direzione.

Esempi
Le docenti e i docenti che sono riusciti a stare più vicini ai loro allievi nonostante la distanza, non sono stati quelli più esperti in piattaforme digitali, ma coloro che già praticavano una didattica attiva e che, nella relazione educativa, erano in grado di ascoltare ragazze e ragazzi, dando voce ai loro sentimenti e ragionamenti senza giudicarli, mettendoli piuttosto in relazione viva con gli oggetti culturali.

Nei primi mesi di lockdown Alessia Barbagli, professoressa in una scuola media di Roma, ha proposto il grande gioco del Decamerone. Ragazze e ragazzi si sono impegnati a scrivere ogni giorno una storia su un tema scelto a turno da ciascuno di loro, scrivendo infine 576 racconti, un affascinante specchio di come un gruppo di preadolescenti stia vivendo questo strano tempo.

In un’altra scuola romana un gruppo di docenti, affiancati da due psicologhe del gruppo Apeiron, hanno lavorato sugli acrostici come possibilità di snidare pensieri e dare respiro a libere associazioni, scoprendo come l’ombra della morte si affacci “quando il contatto diviene sinonimo di contagio”, ma anche pensieri come quello di una ragazza che ha affermato: “Non bisognerebbe mai dare niente per scontato, neanche le cose più abitudinarie: una parola, un abbraccio, una passeggiata… La vita che stiamo vivendo ce lo sta insegnando”.

Per non restare schiacciati in camere anguste dove sono costretti a stare rintanati a covare insofferenze, continuamente esposti al giudizio di genitori che spesso non sanno bene come comportarsi nei loro confronti, hanno un disperato bisogno di sentirsi interpellati, di ritrovarsi e di costruirsi un loro spazio e delle relazioni capaci di dare senso a questo tempo sospeso.

Il mondo adulto nel suo complesso non ha certo dato grandi prove di attenzione e sensibilità nei confronti degli adolescenti.

Le ambivalenze del governo in tema di istruzione e la debolezza della ministra Azzolina hanno favorito una regionalizzazione dell’istruzione in diversi casi del tutto ingiustificata, promossa da governatori che hanno portato a soluzioni paradossali. In Puglia si è ipotizzato di far scegliere alle famiglie se mandare o no i figli a scuola e il 30 ottobre 2020 abbiamo dovuto ascoltare il presidente della regione Campania Vincenzo De Luca irridere “l’unica bambina al mondo che piange perché vuole andare a scuola”. Il grossolano sarcasmo del governatore non mitigava l’offesa verso una bambina che, se esprime il desiderio di imparare a scrivere vuol dire che “si tratta di un ogm e che la mamma l’ha cresciuta con latte al plutonio”. Non so che frequentazione di bambine abbia De Luca, ma io ne ho conosciute centinaia che a sei anni desiderano imparare a scrivere.

Tollerare che il presidente di una regione che ha le percentuali di dispersione scolastica tra le più alte in Europa possa arrogarsi il diritto di tenere chiuse tutte le scuole per mesi e per di più deride pubblicamente il desiderio di apprendere di una bambina, è un segno estremo, ma purtroppo significativo, di un paese che sembra incapace di mettere al primo posto la qualità della crescita delle future generazioni, su cui grava la necessità e il peso di riparare il mondo.

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